Uno degli aspetti più affascinanti e utili del giornalismo è quello dell’inchiesta sociale, specie quando da essa possano sorgere vere e proprie indagini su sospetti illeciti. Ma fin dove le convinzioni personali del giornalista possono spingersi nel denunciare pubblicamente “fatti torbidi”, senza perciò rischiare una denuncia per diffamazione?
Ad affermarlo è una importante recente sentenza della Corte di Cassazione .
Il giornalismo di denuncia – sottolinea la Suprema Corte – è tutelato dal principio costituzionale in materia di diritto alla “libera manifestazione del pensiero” a condizione che sussista l’interesse pubblico all’oggetto dell’indagine giornalistica.
Infatti, sebbene una delle condizioni perché la stampa possa considerarsi lecita è quella dell’attualità della notizia (che quindi attiene ai fatti di cronaca), la collettività ha comunque il diritto a essere informata anche sui temi sociali di particolare rilievo attinenti alla libertà, alla sicurezza, alla salute e agli altri diritti di interesse generale.
In questa prospettiva, non può considerarsi colpevole il giornalista che eserciti la propria attività mediante la denuncia di sospetti di illeciti, quando tali sospetti – secondo quanto ritenuto, caso per caso, dal giudice – non siano obiettivamente del tutto assurdi. Al contrario, essi devono essere espressi in modo motivato e argomentato sulla base di elementi obiettivi e rilevanti.
La denuncia in forma dubitativa di “situazioni oscure” non è diffamazione ma diritto di critica del giornalista d’inchiesta che non deve essere soggetto a censura a priori. ( in tal senso Cass. sent. n. 9337 del 27.02.2013.)
Tranne nell’ipotesi, dunque, in cui il sospetto sia obiettivamente assurdo e sempre che sussista anche l’interesse pubblico all’indagine giornalistica, l’operato del giornalista è sempre tutelato dal diritto di espressione del pensiero.
Pretendere a priori una censura per il giornalismo di denuncia di sospetti di illeciti significherebbe annullare il concetto stesso di sospetto e di giornalismo di inchiesta.
Foggia, 26 maggio 2014